Domenico Corna
«Quando scende la sera, io vi ho visto giocare, salire
alti nel cielo e confondervi con le stelle. Vi ho visto parlare con la luna,
sognare mondi lontani da chiamare casa. Ho condiviso le vostre pene, le
vostre vittorie, ho ascoltato le vostre favole. Quando guarderete questo
mondo con tristezza, sarà lo stesso anche per me. Quando partirete per il
nuovo mondo, io
vi seguirò.»
Il Topino Erminio
Nella cantina buia di
un’antica casa ai bordi del sentiero dei platani, proprio dove la muffa
emanava un buon sapore di sporco, dove la scopa e lo spazzolone non
riuscivano mai ad arrivare, c’era la tana di una comunità di topi.
Da tante generazioni
abitavano in quel posto. Tante famiglie si erano susseguite aggirandosi per
la cantina buia. Avevano imparato a difendersi dai gatti che abitavano al
piano terra. La loro tana aveva l’ingresso così piccolo che nessuno di loro
riusciva ad entrarci, solo talvolta la furbizia e gli eterni appostamenti
avevano portato effetti luttuosi.
La comunità era
gestita dal più anziano. Era lui a decidere il momento opportuno per
procurarsi il cibo. Sanava le divergenze ed i conflitti, metteva pace tra i
contendenti, talvolta incutendo anche paura. Tutti avevano timore di lui, si
diceva che in un combattimento avesse messo in fuga un gatto mordendolo ad
una zampa. Nessuno si era mai azzardato a disubbidirgli.
Quando nacque
Erminio, il suo primo nipote, tutti si congratularono con lui. Sarebbe
cresciuto al suo fianco, diventato forte ed astuto come lui. Alla fine
avrebbe preso il suo posto.
Il piccolo Erminio
trotterellava al suo fianco, ascoltando le parole del nonno. Lo seguiva
anche quando usciva dalla tana di soppiatto, si guardava in giro e dava il
segnale di via libera agli altri. Rimaneva al suo fianco osservando ed
imparandone le espressioni.
Tutti gli altri
topini rispettavano il piccolo Erminio, lo guardavano con una certa
soggezione, in futuro sarebbe stato lui il loro capo. Così la vita
trascorreva lenta e senza problemi nella tana in cantina. Ma una notte ci fu
un temporale impetuoso. Lampi, tuoni e un forte vento si susseguirono
facendo sbattere le finestre della casa fino al mattino.
Quando la comunità si
svegliò, qualcosa nella cantina buia era cambiato: in mezzo al pavimento di
cemento era nato qualcosa. Tutti i topi se ne accorsero, ma non osarono
avvicinarsi. Solo il nonno e, subito dietro Erminio, si avvicinò lentamente
fermandosi ad una certa distanza esaminando con attenzione quello strano
fenomeno. Sembrava una spada conficcata di traverso, una lunga spada che,
partendo dalla finestra alta in cima alla parete, sprofondava nel pavimento.
Il nonno scosse la
testa, girò a lungo attorno a quello strano fenomeno. Erminio non aveva mai
visto nulla di simile, guardava con stupore e meraviglia. Come rientrarono
nella tana, gli altri topi si fecero incontro, chiedendo di che cosa si
trattasse.
«Era da tanto tempo
che non vedevo una cosa simile.» disse il nonno scuotendo la testa.
«L’ultima volta successe tanti anni fa, quando ancora seguivo mio padre.»
I topi erano
impauriti, si guardavano tra di loro chiedendosi di che cosa si trattasse.
«E’ la luce! Un
raggio di sole.» disse il nonno scandendo lentamente le parole. «La luce è
una malattia, nessuno può avvicinarsi senza rimanerne ferito. C’era un tempo
in cui la cantina si era riempita di queste lance e tanti di noi ne
rimanevano contagiati. Una volta colpiti, sbandavano a lungo, urtando ogni
oggetto intorno, mettendo le zampine agli occhi. Si aggiravano per la
cantina barcollando, finché arrivavano i gatti a catturarli e li portavano
via.»
I topi si guardavano
atterriti.
«E’ la luce, tra le
più grandi malattie, non ci si può avvicinare senza rimanerne colpiti.»
Il silenzio avvolse
la cantina e tutti i topi che erano consapevoli della gravità della
situazione. Venne stabilito un formale divieto anche solo di avvicinarsi. Si
formarono i confini oltre i quali, nessuno poteva andare. Se qualcuno fosse
rimasto contaminato, sarebbe stato allontanato per sempre. Era una pena
terribile, venire allontanato, cacciato via per sempre attraverso il grande
sasso nella parete. Era l’accesso verso il mondo sconosciuto, un sasso
custodito da una sentinella sempre armata. A memoria di topo nessuno era mai
stato cacciato via e il grande sasso non era mai stato spostato.
* * *
I giorni si
susseguivano lenti, era stata creata una barriera alla luce e nessuno si
avvicinava mai. Il nonno osservava severamente da lontano. Erminio, sempre
al suo fianco, osservava anche lui la luce, faceva spesso domande sulla
natura di quella spada, come mai fosse capitata tra di loro.
«E’ il destino, mio
caro nipote.» diceva il nonno. «Talvolta succedono fatti apposta per
metterci alla prova, per vedere quanto siamo forti nel resistere. Sono i
gatti a mandarci queste spade di luce, in modo da rimanerne contagiati per
poi venirci a catturare.»
Il nonno guardava con
severità Erminio, ricordandogli che anche lui nel futuro avrebbe potuto
trovarsi di fronte a situazioni del genere. «I gatti vogliono prendere il
possesso della cantina. Sono là dietro la porta, aspettano solo che qualcuno
di noi si avvicini.»
Il tempo passava,
Erminio pensava molto alla luce. Aveva paura ma era affascinato da quella
spada che dal muro si conficcava nel pavimento. Quando era tempo di lavoro e
i topi uscivano tutti insieme, la spada sembrava illuminarsi ulteriormente;
piccole particelle di polvere entravano e ballavano, per cadere poi
lentamente a terra.
Erminio guardava
quello strano gioco con curiosità e stupore. Talvolta, quando tutti
dormivano, metteva fuori il muso dalla tana per osservare. Strisciava
lentamente e rimaneva attaccato all’ingresso della tana per curiosare.
Desideri strani gli passavano per la testa, ma non poteva confidarli a
nessuno. Pensava a come sarebbe stato bello se la spada fosse diventata più
grande, chissà quanti altri giochi di luce sarebbero potuti avvenire al suo
interno.
Un giorno dal buco
della finestra entrò qualcosa di strano, girò a lungo in mezzo alla spada di
luce. Si trattava di un piccolo animale con le ali, una piccola ombra
spaventata. Rimaneva attaccata alla spada, come se da lei prendesse vita.
Girò a lungo a spirale.
Erminio la osservo in
tutti i suoi movimenti, la vide illuminarsi entrando nel cono di luce. Non
era come i granelli di polvere tutti grigi. Era strana, diversa da tutto il
resto. Aveva tanti colori, tutti diversi tra di loro. Avrebbe voluto
fermarla, chiederle da dove veniva, ma non ne ebbe il tempo, come era giunta
così scomparve infilandosi nello stesso buco della finestra.
Erminio pensò a lungo
a tutti quei colori, era stata la luce a farli vivere. Quanto gli sarebbe
piaciuto vedere un’altra volta quello strano animale con le ali e tutti i
suoi colori. Attese a lungo, ma non rientrò più nella cantina.
Erminio non si dava
pace, aveva visto qualcosa di bello e adesso doveva rinunciarci. Forse era
il cono di luce a creare i colori, forse se lui stesso fosse entrato,
sarebbe divenuto tutto colorato come quello strano essere. Ma era proibito,
non lo poteva fare, aveva delle responsabilità al riguardo. Un giorno
sarebbe stato proprio lui ad impedire azioni del genere, a evitare che gli
altri topi contraessero quella brutta malattia, venissero poi catturati e
portati via dai gatti.
Il tempo passava e la
spada di luce rimaneva sempre al suo posto e Erminio non riusciva a smettere
di pensare allo strano essere colorato, era diventato un’ossessione. Quando
gli altri dormivano, usciva lentamente dalla tana per spiare la spada.
Un giorno cominciò
lentamente ad avvicinarsi. Vicino, sempre più vicino, oltre le barriere,
fino quasi a sfiorarla. Si guardò in giro, non c’era nessuno. Confidò a se
stesso che non poteva succedere niente a metterci dentro una zampina, solo
una zampina.
Così lentamente la
zampina scivolò in mezzo alla luce e si illuminò. Rimase però deluso, non
c’erano colori, era sempre grigia. Forse una sola zampina non bastava quindi
ci mise allora anche l’altra, poi la coda ed infine entrò completamente
nella spada di luce guardando verso la finestra. Rimase abbagliato, incapace
di vedere alcunché. Iniziò a traballare, a sbattere contro le pareti,
provocando rumore, fino a svegliare gli altri topi. Uscirono tutti dalla
tana e raccolsero il piccolo Erminio.
Dovette attendere del
tempo prima di tornare a vedere. Ebbe subito davanti il muso del nonno e il
suo cipiglio. «Hai disobbedito! Proprio tu, mio nipote, colui il quale
avrebbe dovuto sostituirmi un giorno. Mi hai disobbedito!»
Non fu perdonato e il
giorno dopo venne accompagnato davanti al grande sasso. Il nonno, per la
vergogna, non andò neppure a salutarlo. Erminio avrebbe voluto morire, ma
non aveva altra scelta. Non ebbe neppure il tempo di guardarsi indietro
perché venne spinto fuori e subito il grande sasso fu richiuso.
* * *
Percorse uno stretto
cunicolo lentamente, mentre i suoi occhi si abituavano progressivamente alla
luce. Un passo per volta, gli sembrava di sentire dentro quella malattia,
gli faceva male. Faceva lunghe soste, ma poi riusciva ad abituarsi e
riprendeva. Finché non rimase più niente davanti a lui.
Non c’era più la
cantina, neppure i muri. Non c’era più niente.
«Ma che posto strano
è mai questo?» pensò.
Dov’era il soffitto e
i muri a sostenerlo? Non aveva mai visto una stanza così grande, le pareti
erano talmente lontane da non riuscire neppure a vederle. Quella enorme
stanza non aveva neppure sostegni, riusciva a rimanere in piedi senza parete
alcuna. Neppure guardando in alto riusciva a vedere il soffitto, c’era solo
il blu e tanti piccoli batuffoli bianchi che si muovevano lentamente.
Dovette però
abbassare gli occhi perché gli facevano male, forse la malattia ormai lo
stava corrodendo. Venne preso dal terrore, entrò in quella enorme stanza
senza limiti e corse a lungo, prima appoggiato al muro della casa da dove
era uscito, poi lontano, cercando di lasciarsi dietro anche la paura che lo
attanagliava.
Corse fino a trovare
una cosa alta piantata nel terreno, un grande palo alto e pieno di tante
piccole cose appese. Lo sapeva che erano colorate, ma non aveva il coraggio
di guardarle, doveva tenere gli occhi chini verso terra per non farsi male.
Nel grande palo trovò
un piccolo buco e si infilò dentro. Il cuore gli batteva forte. Si chiese
quanto tempo sarebbe trascorso prima che la malattia riuscisse ad
impossessarsi di lui. Se ne stette a lungo rinchiuso nel buco con gli occhi
coperti dalle zampine senza avere il coraggio di guardare fuori. Tremava
dalla paura, pensava al suo triste destino, trovarsi in un mondo
sconosciuto, pieno di strane malattie.
C’era un’altra spada
di fuoco là fuori, appesa all’invisibile soffitto, era lei che produceva
tutta quella luce, tanto potente da rischiarare tutta l’enorme stanza.
L’enorme luce si spostava lentamente producendo una traccia sulla terra. Il
suo percorso svelava la sua intenzione di illuminare tutto, perfino gli
angoli più nascosti. Niente veniva risparmiato nel suo cammino. Così presto
sarebbe giunta anche nel suo nascondiglio e per lui non ci sarebbe stata
alcuna via di fuga. Aspettava solo la fine.
Quando la luce lo
colpì, aveva immaginato dolori lancinanti in tutto il corpo, invece
inaspettatamente iniziò a sentire una strana e gradevole sensazione di
calore. Stette immobile ancora un po’ aggrappato alla parete, ma la
sensazione invece di diminuire, andava aumentando. Che strano, come era
possibile che la fine a causa di quella strana malattia fosse preannunciata
da una tenue, dolce sensazione di calore?
Era incerto sul
comportamento da prendere, non sentiva dolore alcuno. Mosse qualche passo
per capire meglio. Era davvero gradevole quella sensazione di calore sulla
schiena. Se doveva morire, tanto valeva riscaldare non solo la schiena, ma
anche il petto e il muso.
Si girò dall’altra
parte, il calore della luce avvolse il suo petto, poi anche la pancia. Non
aveva mai provato una sensazione del genere. Le orecchie si abbassarono dal
piacere, era davvero gradevole. Non si sentiva proprio ammalato, anzi, al
contrario, non si era mai sentito così bene.
Tolse le zampine
dagli occhi e, lentamente, si avvicinò alla soglia. Aprì gli occhi, che
ormai si erano abituati alla luce, le orecchie si alzarono improvvisamente.
«Oh…» esclamò con meraviglia. «Ma dove mi trovo? Ma che mondo strano è mai
questo?»
Tutto intorno era
pieno di colori, ognuno il suo. Difficilmente ne trovava uno simile
all’altro. Il prato, i grandi pali vestiti a festa, gli animali che
volavano, che strisciavano. Tutti vivevano sotto la luce, senza ammalarsi.
Non c’era l’odore stagnante di muffa della cantina, gli odori si muovevano,
c’era il vento a portarli in giro, arrivavano da una parte e andavano via
nella parte opposta. Mise fuori il naso e aspirò profondamente. Le orecchie
si abbassarono di nuovo dal piacere.
Uscì dalla tana,
c’erano anche i gatti, appoggiati ad un altro palo, ma erano molto lontani,
anche loro stavano prendendo la luce. Se si fossero avvicinati, sarebbe
riuscito a scappare rientrando nel buco. Tutti si esponevano alla luce senza
ammalarsi; così anche il piccolo Erminio si sedette, appoggiandosi al lungo
palo vestito a festa.
«Ma è tutto
sbagliato.» disse ridendo tra i baffi. «Si sta bene qui fuori, non c’è
nessuna malattia, niente può fare del male. E’ molto più bello qui che
laggiù, devono saperlo tutti. Non è una malattia, così usciranno dalla
cantina.»
Si avvicinò
lentamente al buco nel muro dove la spada di luce entrava. Prese una grande
foglia e vi scrisse un messaggio per la sua gente, «Non c’è nessuna
malattia, c’è un mondo pieno di luce, di colori di profumi qui fuori. Uscite
anche voi. Non dovete avere paura.»
Il messaggio dondolò
a lungo volteggiando nella cantina buia e andò a posarsi proprio davanti
all’ingresso della tana della comunità. Corse velocemente davanti al grande
sasso, proprio da dove era uscito. Attese a lungo finché il grande sasso si
aprì, ma uscì solo la foglia con un altro messaggio per lui, prima di
richiudersi nuovamente.
«Non riusciamo a
capire che cosa ti spinga a farci uscire, a contaminarci, forse la rabbia
per averti cacciato. Devi sapere che la disobbedienza va punita sempre. Ma
forse stiamo sbagliando, forse si tratta dell’effetto della malattia, la
strana euforia ti sta corrodendo.
«Noi non possiamo
fare più niente per te, il tuo destino si compirà trafitto dalla spada di
luce. Stiamo tutti pensando a te, speriamo che ciò avvenga senza troppa
sofferenza.
«Ma forse, se davvero
lo vuoi, puoi fare qualcosa per noi. Se davvero provi ancora dell’affetto,
chiudici quel buco da dove entra la spada, in modo da fermare il contagio.
Potremo così continuare la nostra vita senza più alcun pericolo.»
Il topino Erminio,
rilesse più volte. Non riusciva a capire come mai non credessero alle sua
parole. Non era forse stato tra di loro per tanto tempo, non avrebbe dovuto
un giorno essere il loro capo?
Troppa ormai era la
distanza che lo separava dalla sua gente. Pensò a che cosa avrebbe potuto
fare: mandare un altro messaggio più convincente e attendere? Avrebbero
risposto sempre nello stesso modo. Aprire un varco più grande verso la
cantina e fare entrare tutta la luce in maniera che potessero capire? Ma
sarebbero morti dallo spavento, ancora prima di accorgersi della bellezza.
Abbassò le orecchie,
prese un piccolo legno lì vicino, si avvicinò al buco e lo tappò. La spada
di luce smise di entrare in cantina. Erminio tornò verso il suo buco, si
sedette sulla soglia della sua nuova tana guardando fuori ed emise un lungo
sospiro.
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