Nuvole al tramonto è un viaggio simbolico
che coinvolge e sconvolge il lettore, grazie a un intreccio
narrativo che richiama parvenze letterarie a metà strada tra
Antoine de Saint-Exupery de Il Piccolo Principe e Jostein
Gaarder de L’enigma del solitario. L’autore perviene a una
ricerca di senso attraverso un orizzonte temporale indefinito
che, nel corso delle pagine, assume di volta in volta più
significato, fino ad arrivare a un finale in grado di cambiare
per sempre non soltanto la protagonista del romanzo, ma anche il
lettore che l’ha seguita per tutto il tragitto del suo
peregrinare.
Il romanzo di Corna si presenta come una
storia che conduce dall’inesistente all’esistente, tra la dura
realtà vissuta da una ragazza e l’immaginazione ereditata
dall’infanzia, in un viaggio che va oltre il presente, in una
sorta di itinerario Al di là dei sogni. La protagonista,
attraverso un percorso irto di ostacoli, fatto di ricordi, di
momenti intimi, di stravolgimenti interiori passati e presenti,
riscopre il dolore e il sollievo provati nel corso della vita,
sullo sfondo di una gioventù bruciata da manie e dipendenze che
l’hanno assuefatta. Nel farlo ricerca una verità che non sa di
avere, convinta di possederla, che la indirizzerà verso un
finale sorprendente, dai mille significati simbolici e
letterali.
Fin dalle prime pagine, la scelta
dell’autore di non dare precisi riferimenti spaziotemporali si
rivela azzeccata, poiché conferisce al romanzo un’aura di
mistero soltanto in apparenza in contrasto con la descrizione
minuziosa dei luoghi e delle sensazioni vissuti da Martina. Il
lettore si sente spaesato, come la stessa protagonista, che non
sa dove si trova, né cosa cerca, sebbene ci sia sempre in
sottofondo la speranza di una più grande verità che porta a
leggere tutto d’un fiato il romanzo. Eppure, anche se non
sappiamo nulla di lei, resa indefinita così come l’ambiente in
cui vive, il linguaggio minuzioso e mai banale utilizzato da
Corna permette di ritrarla in modo puntuale sotto l’aspetto
emotivo e caratteriale, in una sorta di fusione tra passato e
presente, tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo, tra ciò
che è inconscio e ciò che è conscio. Tale connotazione
stilistica “senza tempo” ha il pregio di produrre un’atmosfera
quasi surreale, al punto che sembra di essere lì con la
protagonista e di accompagnarla alla scoperta di sé pagina dopo
pagina. L’assenza di orientamento trascina, in altre parole,
emotivamente e interiormente, tanto che il lettore si sente
coinvolto nella narrazione di cui diventa egli stesso
protagonista, come fosse alla scoperta del significato della
propria di esistenza e non soltanto di quella di Martina. Questo
modo di scrivere romantico e contemplativo allo stesso tempo,
fantasioso e drammatico, poetico e prosaico, conduce così alla
raffigurazione di luoghi, sensazioni, spazi e istanti che non
hanno né possono avere una cornice definita, in quanto
universali, dove le perplessità, le paure, le paranoie, le
domande, i dubbi di Martina, in fondo, sono anche le nostre.
Siamo noi che siamo perduti e che cerchiamo conforto nella
fantasia o in quella capacità di immaginare che abbiamo perduto,
per rifuggire, anche solo per un istante, dai problemi
quotidiani. Siamo noi che dimentichiamo e non vediamo l’ora di
ricordare ciò che eravamo e. al contempo, ciò che saremmo voluti
diventare.
Nell’implicita assenza di punti cardinali,
durante la lettura ogni cosa assume paradossalmente, e
lentamente, senso. Riga dopo riga un significato latente si fa
strada e restituisce vigore ad eventi e sensazioni già narrate
che sembravano non averne. Proprio quando ci si rassegna alla
fantasia, al vagare per itinerari mentali e simbolici
sconosciuti, al non avere una meta, seguendo associazioni libere
di freudiana memoria, si riscopre un altro romanzo dentro la
storia, attraverso ripetuti capovolgimenti di scena. Di capitolo
in capitolo, come un puzzle in via di completamento, ogni pezzo
dell’esistenza di Martina (e, quindi, del lettore) si posiziona
al proprio posto, all’interno di un intreccio narrativo dove
ogni parola, ogni dettaglio, ogni emozione trovano sollievo. I
continui rimandi tra i capitoli, a volte confusi tra loro,
finiscono per creare un mondo particolare, originale, in cui la
scrittura appare un dipinto e la vita un mondo da colorare,
disegnare, immaginare, dove ogni linea, ogni colore, ogni
pennellata è lì dove avrebbe dovuto essere. Al caos iniziale,
subentra l’ordine delle cose, al paradossale subentra la
consuetudine di sapere chi si è e cosa si vuole, alla stregua di
micromondi dentro altri pianeti, in un eterno ritorno di cui
Martina va in cerca su ispirazione delle nuvole che, nel cielo,
le tracciano i pensieri su cui far leva.
Nuvole al tramonto tuttavia non è solo un
viaggio alla scoperta di sé, ma qualcosa che va oltre il
semplice significato delle parole. In questo percorso interiore,
infatti, vi è una riscoperta dei valori dell’infanzia, delle
emozioni vissute e dimenticate, gli effetti della droga,
l’importanza di dare un significato alle cose per riscoprirle
sotto una differente luce e ridonare loro vita. Le nuvole
ispirano Martina a costruirsi, da bambina come da adulta, un
mondo immaginario, tutto suo, che sia in grado di darle un
rifugio dalla dipendenza da droghe, dai ricoveri, dalla
terribile malattia di cui soffre e da cui non riesce a
distaccarsi. Nel già accennato intersecarsi tra immaginazione e
realtà, la prima assume quindi ancora più senso in rapporto alla
seconda, quasi fosse l’unica via d’uscita ai problemi. E in
questo continuo rimando tra creatività e concretezza, l’autore
sembra sottolineare più volte, per mezzo di Ginetta,
l’importanza, da giovani come da adulti, di conservare
l’immaginazione, di non dimenticare ciò che si è stati, nonché
il potere infantile di crearsi mondi paralleli, poiché spesso
proprio da tale riscoperta si genera l’unico modo per risolvere
i problemi che l’esistenza inevitabilmente pone davanti da
adulti. La riscoperta del passato diventa allora una sorta di
terapia, non illusoria, ma reale, in un mondo che, soltanto in
parte, lo è. Perché, d’altronde, tutti abbiamo, come Martina,
uno sgabuzzino buio, che temiamo o abbiamo temuto, di cui
conserviamo fantasmi inconsci, ricordi di un passato che ci è
alieno e che sembra non appartenerci, dai cui timori ci sembra
di non poter scappare come aquile senza ali, quando invece
abbiamo soltanto scordato come si fa a volare.
Conscia di questo inestimabile valore
interiore, quasi seguendo la scia de Il ritorno al bosco dei 100
acri di David Bendictus, Martina riscopre le creazioni che non
ricordava più, ovvero il mondo che aveva disegnato e fatto
proprio, attraverso gli inseparabili amici Edi e Ginetta,
improvvisamente dimenticati, ma un tempo memorabili. Lo fa
proprio nel momento in cui tutto è all’apparenza compiuto,
mentre le nuvole sono al tramonto, riprendendo dall’inconscio
ciò che è stata, sotto i colpi ferenti di una gioventù alla
deriva di cui si sente vittima. La sorpresa è dietro l’angolo,
poiché nel mondo sognato da piccola riconosce nuovi valori
adulti, nuove vite parallele riassunte nella propria, e si rende
conto che lei è più di una semplice Martina, è il risultato di
Edi e Ginetta insieme, di vite passate, trascorse sì, ma reali
nell’adesso, di tutte le emozioni, tutti i pensieri lasciati
dispersi nel tempo, che si incontreranno in un solo momento,
l’unico istante più lungo dell’infinito: il tempo futuro del
cuore.