Nella cantina buia di un’antica casa ai bordi del Bosco dei Platani,
proprio dove la muffa emanava un buon sapore di sporco, dove la
scopa e lo spazzolone non riuscivano mai ad arrivare, c’era la tana
di una comunità di topi.
Da tante generazioni le famiglie si erano susseguite abitando nel
profondo della casa imparando a difendersi dai gatti residenti al
piano superiore. La loro tana aveva l’ingresso talmente minuscolo da
costituire una solida barriera. Solo talvolta la furbizia e gli
eterni appostamenti avevano portato effetti luttuosi.
La comunità era gestita dal più anziano. Era lui a decidere il
momento opportuno per procurarsi il cibo. Sanava le divergenze e i
conflitti, metteva pace tra i contendenti, talvolta incutendo anche
paura. Tutti avevano timore di lui, si narrava come in un
combattimento avesse perfino messo in fuga un gatto mordendolo ad
una zampa. Nessuno si era mai azzardato a disubbidirgli.
Quando nacque Erminio, il suo primo nipote, tutti si congratularono
con lui; sarebbe cresciuto al suo fianco, diventando forte e astuto
quanto lui. Alla fine avrebbe preso il suo posto.
Il piccolo Erminio trotterellava al suo fianco, facendo tesoro delle
parole e degli atteggiamenti del nonno anche quando, uscendo dalla
tana di soppiatto, si guardava attorno per comunicare il segnale di
via libera agli altri.
Tutti i topini rispettavano il piccolo Erminio, lo guardavano con
una certa soggezione, in futuro sarebbe stato lui il loro capo.
Così la vita trascorreva lenta e senza problemi nella cantina buia
fino ad una notte quando all’improvviso si abbatté un violento
temporale; lampi, tuoni e un forte Vento si susseguirono fino al
mattino facendo sbattere le finestre della casa.
Quando la comunità si svegliò, qualcosa nella cantina buia era
cambiato: in mezzo al pavimento scuro era nato qualcosa di
inconsueto. Tutti i topi se ne accorsero ma senza osare avvicinarsi.
Solo il nonno e subito dietro Erminio, si accostò lentamente
fermandosi ad una certa distanza esaminando con attenzione quello
strano fenomeno; sembrava un oggetto conficcato di traverso, una
lunga spada che, partendo dalla finestra in cima alla parete, si
infilava nel pavimento.
Erminio non aveva mai visto nulla di simile, guardava con stupore e
meraviglia. Il nonno invece scosse la testa, girò a lungo attorno a
quello strano fenomeno. Come rientrarono nella tana, gli altri topi
si fecero incontro, chiedendo la ragione.
«Da tanto, tanto tempo non assistevo ad un simile fenomeno» spiegò
il nonno scuotendo la testa. «L’ultima volta successe tanti anni fa,
quando ancora seguivo mio padre.»
I topi erano impauriti, si guardavano tra di loro chiedendosi di che
cosa si trattasse.
«É la luce, un raggio di Sole!» esclamò il nonno scandendo
lentamente le parole. «La luce è una malattia, nessuno può
avvicinarsi senza rimanerne ferito. C’era un tempo in cui la cantina
era colma di queste lance e tanti di noi ne rimanevano contagiati;
una volta colpiti, mettendo le zampine sugli occhi, sbandavano a
lungo, urtando ogni oggetto attorno a loro. Si aggiravano per la
cantina barcollando, finché arrivavano i gatti a catturarli e li
portavano via.»
I topi si guardarono atterriti.
«É la luce, tra le più grandi malattie, non ci si può avvicinare
senza rimanerne affetti.»
Il silenzio avvolse la cantina e tutti i topi consapevoli della
gravità della situazione. Vennero disegnati i confini e stabilito un
formale divieto anche solo di avvicinarsi. Se qualcuno fosse rimasto
contaminato, sarebbe stato esiliato per sempre. Era una pena
terribile venire allontanato, cacciato via per sempre attraverso il
grande sasso nella parete custodito da una sentinella sempre armata.
A memoria di topo nessuno era mai stato esiliato e il grande sasso,
l’accesso verso il mondo sconosciuto, non era mai stato spostato.
* * *
I giorni si susseguivano lenti. Era stata creata una barriera alla
luce e mentre il nonno osservava severamente da lontano, nessuno
osava avvicinarsi. Erminio, sempre al suo fianco, controllava a sua
volta, spesso rivolgendo domande sulla natura di quella spada, come
mai fosse capitata tra di loro.
«Si tratta del nostro destino, mio caro nipote» asserì il nonno.
«Talvolta succedono situazioni appositamente per metterci alla
prova, per constatare quanto forti siamo nel resistere. Sono i gatti
a inviare queste spade di luce in modo da rimanerne contagiati per
poi venire a catturarci.»
Il nonno guardò con severità Erminio, ricordandogli come anche lui
nel futuro avrebbe potuto trovarsi di fronte a situazioni del
genere. «I gatti vogliono prendere il possesso della cantina. Sono
là dietro alla porta pronti a portarsi via chiunque si avvicini.»
Il tempo passava, Erminio pensava molto alla luce. Aveva paura ma
era anche affascinato da quella spada conficcata nel pavimento.
Durante il lavoro, quando i topi uscivano tutti insieme, la spada
sembrava illuminarsi ulteriormente; piccole particelle di polvere
entravano e ballavano per cadere poi lentamente per terra.
Erminio osservava quello strano gioco con curiosità e stupore.
Talvolta, quando tutti dormivano, metteva fuori il muso dalla tana.
Strisciava lentamente rimanendo attaccato all’ingresso con lo
sguardo proteso verso la luce. Desideri strani gli passavano per la
testa, ma non poteva confidarli ad alcuno; pensava a come sarebbe
stato bello se la spada fosse diventata più grande, chissà quanti
altri giochi di luce sarebbero potuti avvenire al suo interno.
Un giorno, dal buco della finestra, volteggiando a lungo in mezzo
alla spada di luce, entrò un’ombra inconsueta. Si trattava di un
piccolo animale con le ali, una farfalla spaventata; rimaneva
attaccata alla luce come se da lei prendesse vita. Roteò a lungo a
spirale.
Erminio la osservo in tutti i suoi movimenti, la vide illuminarsi
entrando nel cono di luce. Non era come i granelli di polvere tutti
grigi. Aveva tanti colori, tutti diversi tra di loro. Avrebbe voluto
fermarla, chiederle da dove venisse, ma non ne ebbe il tempo. Come
era giunta, così scomparve infilandosi nel medesimo buco della
finestra.
Erminio pensò a lungo a quei colori splendenti, era stata la luce a
farli vivere. Quanto gli sarebbe piaciuto osservare un’altra volta
quello strano animale con le ali. Attese a lungo, ma non rientrò più
nella cantina.
Erminio non si dava pace, aveva visto qualcosa di bello e adesso
doveva rinunciare. Forse era stato il cono di luce a creare i
colori, forse se lui stesso fosse entrato, sarebbe divenuto tutto
colorato come quello strano essere. Ma era proibito, non poteva
certo trasgredire agli ordini, aveva delle responsabilità al
riguardo; un giorno sarebbe stato proprio lui ad impedire azioni del
genere, a evitare che gli altri topi contraessero quella brutta
infezione, venissero poi catturati e portati via dai gatti.
Il tempo scorreva e la spada di luce rimaneva sempre al suo posto.
Erminio non riusciva a smettere di pensare allo strano essere
colorato, era diventato un’ossessione.
Un giorno cominciò lentamente ad avvicinarsi; vicino, sempre più
vicino, oltre le barriere, fino quasi a sfiorarla. Si guardò
attorno, non c’era alcuno a spiarlo. Non poteva accadere nulla di
particolare se si fosse azzardato a porre all’interno una zampina,
solo una zampina.
Lentamente la fece scivolare in mezzo alla luce per verificarne il
cambiamento. Rimase però deluso, non c’erano i bei colori di quel
piccolo animale con le ali, la sua zampina rimase tristemente
grigia. Forse una sola zampina non era sufficiente, fece quindi
scivolare anche l’altra, poi la coda ed infine entrò completamente
volgendo lo sguardo verso la finestra. Rimase abbagliato, incapace
di vedere alcunché; iniziò a traballare, a sbattere contro le
pareti, provocando rumore, fino a svegliare gli altri topi. Uscirono
tutti dalla tana e raccolsero il piccolo Erminio.
Dovette attendere molto tempo prima di tornare a vedere, per
scoprire davanti al suo, il muso del nonno e il suo cipiglio. «Hai
disobbedito! Proprio tu, mio nipote, colui che avrebbe dovuto
sostituirmi un giorno, hai osato infrangere le direttive stabilite!»
Non fu perdonato e il giorno dopo venne accompagnato davanti al
grande sasso. Il nonno, per la vergogna, non si recò neppure a
salutarlo. Erminio avrebbe voluto morire ma non aveva altra scelta;
non ebbe neppure il tempo di guardarsi indietro perché venne spinto
fuori e subito il grande sasso fu richiuso.
* * *
Percorse uno stretto cunicolo, lentamente, mentre i suoi occhi si
abituavano progressivamente alla luce. Un passo per volta, esitava
con lunghe soste mentre gli sembrava di sentire già quella malattia
dentro di lui iniziare a corroderlo. Si rialzò e riprese il cammino
finché più niente rimase a ostruire la visuale, non la cantina,
neppure i muri; non c’era più niente.
«Ma che posto strano è mai questo?» sussurrò con grande spavento.
Dov’era il soffitto e i muri a sostenerlo? Non aveva mai visto una
stanza così grande le cui pareti erano talmente distanti da non
riuscire neppure a individuarle. Rimaneva in piedi senza bisogno di
alcun sostegno. Scorgeva solo il blu e tanti piccoli batuffoli
bianchi muoversi lentamente.
Dopo aver chinato lo sguardo per il fastidio causato dalla luce,
pensò che forse la malattia ormai aveva iniziato a consumarlo senza
rimedio. Preso dalla paura, entrò in quella enorme stanza senza
confini e corse a lungo, prima appoggiato al muro della casa da dove
era uscito, poi lontano, cercando di lasciarsi dietro l’impressione
di venire presto catturato.
Corse fino a trovare un grande albero pieno di tanti rami e foglie
che si muovevano. Lo sapeva, erano colorate, ma non aveva il
coraggio di guardarle, doveva tenere gli occhi chini verso terra.
Nel grande albero trovò un piccolo buco e si infilò dentro. Il cuore
pulsava velocemente mentre si stava chiedendo quanto tempo sarebbe
trascorso prima che la malattia riuscisse ad impossessarsi e
distruggere il suo corpo. Se ne stette a lungo rinchiuso nel buco
tremante dalla paura con gli occhi coperti dalle zampine riflettendo
sul triste destino di trovarsi in un mondo sconosciuto, pieno di
strane malattie.
C’era un’altra spada di fuoco là fuori, appesa all’invisibile
soffitto; era lei a produrre quella potente luce, tanto risplendente
da rischiarare l’immensa stanza. Si stava spostando lentamente
svelando la sua intenzione di illuminare tutto sotto di sé, perfino
gli angoli più nascosti. Presto sarebbe giunta anche nel suo
nascondiglio e per lui non ci sarebbe stata alcuna via di fuga.
Attese con rassegnazione la fine.
Quando la luce lo colpì, al contrario di presunti dolori lancinanti
in tutto il corpo, inaspettatamente, iniziò a sentire una inconsueta
e gradevole sensazione di calore. Stette immobile, aggrappato alla
parete, mentre la sensazione invece di diminuire, andava aumentando.
Era davvero strano come la morte a causa di quella strana malattia
fosse preannunciata da una tenue, dolce sensazione di benessere.
Era incerto sul comportamento da tenere, non sentiva dolore alcuno.
Mosse qualche passo per comprendere. Era davvero gradevole. Se fosse
suo destino giungere alla fine della vita, tanto valeva riscaldare
non solo la sua schiena, ma anche il petto e il muso.
Si volse dalla parte opposta. Quando il calore della luce avvolse il
petto e la pancia, le orecchie si abbassarono dalla gradevolezza e
dal piacere. Non gli sembrava di essere affetto da una qualsivoglia
malattia anzi, al contrario, non si era mai sentito così bene.
Tolse le zampine dagli occhi e lentamente, si avvicinò alla soglia.
«Oh…» esclamò con meraviglia. «Ma dove mi trovo? Che mondo strano è
mai questo?»
La campagna attorno, fin dove riusciva a vedere, era colma di
tantissimi colori, difficilmente ne trovava uno simile all’altro;
c’era il prato, i grandi alberi vestiti a festa, gli animali a
spasso e in volo, tutti vivevano insieme sotto la luce, senza
ammalarsi. Era scomparso quell’unico odore stagnante di muffa della
cantina, tanti invece erano i profumi e si muovevano appositamente
per essere annusati. Il Vento li trasportava da una parte all’altra
dell’immensa stanza.
Mise il naso fuori dalla tana e aspirò profondamente. Le orecchie si
abbassarono di nuovo dal piacere.
Vedeva i gatti, appoggiati ad un altro albero, abbastanza distanti
da non costituire un problema, a loro volta sdraiati per godere
della luce. Se si fossero avvicinati, sarebbe riuscito a fuggire
rientrando nel buco.
Tutti si esponevano alla luce senza ammalarsi; così anche il piccolo
Erminio si sedette, appoggiandosi alla base dell’albero.
«Ma è tutto sbagliato!» esclamò ridendo tra i baffi. «Si sta bene
qui fuori, non c’è alcuna malattia. É molto meglio rispetto al buio
della cantina, devono saperlo, così usciranno a loro volta per
godere della luce. Non è una malattia.»
Si avvicinò lentamente al buco nel muro dove la spada di luce stava
ancora entrando. Prese una grande foglia e vi scrisse un messaggio
per la sua gente: «Non c’è alcuna malattia, c’è un mondo pieno di
luce, di colori, di profumi qui fuori. Uscite anche voi, non dovete
avere paura.»
Il messaggio dondolò a lungo volteggiando nella cantina buia e andò
a posarsi proprio davanti all’ingresso della tana della comunità.
Corse velocemente verso il grande sasso da dove era uscito. Attese a
lungo finché si aprì, ma vide uscire solamente la stessa foglia con
un nuovo messaggio indirizzato a lui, prima di richiudersi
nuovamente.
«Non riusciamo a capire perché ci spingi ad uscire per contaminarci,
forse si tratta della vendetta per averti cacciato? La disobbedienza
va punita sempre! Ma forse stiamo sbagliando, la strana euforia è
l’effetto del contagio avvenuto.
«Noi non possiamo fare niente, il tuo destino si compirà trafitto
dalla spada di luce; speriamo possa avvenire senza troppa
sofferenza.
«Ma forse, se lo desideri e provi ancora affetto per noi, puoi
aiutarci contro la malattia intrufolatasi dalla finestra. Chiudi il
buco dal quale entra la spada, in modo da fermare il contagio.
Potremo così continuare la nostra vita senza più alcun pericolo.»
Il topino Erminio, rilesse più volte. Non riusciva a comprendere la
ragione per cui non credessero alle sue parole. Non aveva forse
vissuto tra di loro per tanto tempo? Non avrebbe dovuto un giorno
diventare il loro capo?
Troppa ormai era la distanza a separarlo dalla sua gente. Forse
avrebbe potuto insistere inviando un altro messaggio per
convincerli. Ma, ne era certo, avrebbero risposto nello stesso modo.
Avrebbe potuto aprire un varco più esteso verso la cantina e fare
entrare più luce in maniera potessero capire. Ma sarebbero morti
dallo spavento, ancora prima di accorgersi della bellezza.
Abbassò le orecchie, prese un piccolo legno lì vicino, si avvicinò
al buco e lo tappò. La spada di luce smise di entrare in cantina.
Erminio tornò verso il suo buco, si sedette sulla soglia della nuova
tana guardando fuori, emettendo un lungo sospiro.