Minichì
Parte 4
Parte 3
Parte 2

Non si trattava propriamente di tristezza la sensazione di cui si sentiva pervaso, piuttosto di smarrimento. Aveva immaginato potesse accadere un giorno ma giungere dalla probabilità alla realtà aveva avuto un effetto devastante.
 Si era sentito felice dopo avere messo in atto quella strategia con la sensazione di aver finalmente scoperto quale fosse il senso della vita a cui era stato destinato. Niente altro sembrava più importante. Ma, dopo essere sceso dagli strati alti dello spirito per tornare alla realtà, ogni buona impressione si era dissolta per lasciare il posto a una terribile sensazione di disorientamento.
 Giovanni emise un profondo sospiro guardandosi attorno. Starsene prigioniero in una cella da lui stesso posta in costruzione, era terribilmente ironico e frustrante.
 Fu il comandante delle forze d’occupazione a ordinare la sua edificazione così Giovanni, sindaco di quel paese, aveva proposto a una piccola impresa, l’unica del paese, la realizzazione di un’opera così differente dal solito. I muratori accettarono di buon grado. Col l’incalzare dei devastanti bombardamenti, non erano rimasti molti altri lavori a cui dedicarsi se non spostare macerie e rendere di nuovo abitabili le case colpite.
 Nessuno comprendeva un tale accanimento sul paese se non per errore. Non rappresentava un obbiettivo sensibile ma forse, al calare della nebbia, la poca distanza dalla ferrovia poteva indurre a confondere i binari con la carreggiata. Per questa ragione i piloti non esitavano a sganciare sulle case limitrofe i loro poco simpatici regali. Così gli abitanti, quando iniziavano a sentire il rumore dei velivoli in avvicinamento, contrariamente alle abitudini, non andavano a nascondersi negli scantinati ma uscivano di casa di corsa per allontanarsi verso la campagna circostante. Tra prati e coltivazioni si sentivano più protetti.
 Quando la piccola impresa giunse per la costruzione della solida piccola prigione, Giovanni li ammonì affinché rispettassero le indicazioni del comandante. Al termine avrebbe controllato personalmente prima di dare il consenso al pagamento.
 Non essendo difficile immaginare il tipo di persone con il triste destino di occupare quella cella, Giovanni chiese fosse segretamente effettuata una modifica sul soffitto della stanza.
 «Dovresti costruire una piccola, invisibile apertura» chiese al muratore. «Come quella sapientemente celata nella parete di casa tua per nascondere i soldi risparmiati.»
 Il muratore arrossì sbigottito. «Come fai a conoscere quella modifica?»
 Giovanni sorrise. «Tutto il paese ne è a conoscenza. Non è un segreto.»
 In effetti l’occupazione principale in quegli ultimi anni, oltre a cercare di sopravvivere, era confidarsi i segreti altrui.
 «Riuscirai a costruirla celandola in modo che nessuno se ne possa accorgere?»
 Il muratore annuì sorridendo. «Puoi starne certo!» esclamò risoluto. «Se tu non ne farai menzione, nessuno riuscirà a scoprirlo.»
 Così, all’esterno, nella volta del soffitto, in mezzo ai mattoni che lo costituivano, approntò una maniglia di ferro in grado di riuscire a toglierne alcuni così ben legati tra loro da non riuscire a identificarli con tutti gli altri. Lo stucco dello stesso colore del cemento li confondeva alla vista.
 Non avrebbe mai immaginato fosse lui stesso a dover essere recluso in quella cella proprio nei giorni della liberazione, della gioia e dei festeggiamenti per il rinato desiderio del paese di tornare a vivere.
 «La cena è pronta!» sentì pronunciare mentre la porta si apriva.
 Il carabiniere giunse ponendo sul tavolino accanto alla branda un vassoio con la cena.
 «Domani mattina, prima di mezzogiorno, sarai condotto in municipio per essere giudicato. Un giudice americano deciderà sulla tua sorte!» sorrise con ironia guardando Giovanni. «Sono certo, non avrà molto da verificare prima di pronunciare la sentenza di morte.»
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Bosco dei Platani
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