Onesto Inganno
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L'inganno
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Domenico Corna
Onesto Inganno - Parte Prima
L'inganno - Primo Capitolo
Incipit
Non si trattava propriamente di tristezza
la sensazione di cui si sentiva pervaso, piuttosto di
smarrimento. Aveva immaginato potesse accadere un giorno ma
giungere dalla probabilità alla realtà aveva avuto un effetto
devastante.
Si era sentito felice dopo avere messo in atto quella strategia
con la sensazione di aver finalmente scoperto quale fosse il
senso della vita a cui era stato destinato. Niente altro
sembrava più importante. Ma, dopo essere sceso dagli strati alti
dello spirito per tornare alla realtà, ogni buona impressione si
era dissolta per lasciare il posto a una terribile sensazione di
disorientamento.
Giovanni emise un profondo sospiro guardandosi attorno.
Starsene prigioniero in una cella da lui stesso posta in
costruzione, era terribilmente ironico e frustrante.
Fu il comandante delle forze d’occupazione a ordinare la sua
edificazione così Giovanni, sindaco di quel paese, aveva
proposto a una piccola impresa, l’unica del paese, la
realizzazione di un’opera così differente dal solito. I muratori
accettarono di buon grado. Col l’incalzare dei devastanti
bombardamenti, non erano rimasti molti altri lavori a cui
dedicarsi se non spostare macerie e rendere di nuovo abitabili
le case colpite.
Nessuno comprendeva un tale accanimento sul paese se non per
errore. Non rappresentava un obbiettivo sensibile ma forse, al
calare della nebbia, la poca distanza dalla ferrovia poteva
indurre a confondere i binari con la carreggiata. Per questa
ragione i piloti non esitavano a sganciare sulle case limitrofe
i loro poco simpatici regali. Così gli abitanti, quando
iniziavano a sentire il rumore dei velivoli in avvicinamento,
contrariamente alle abitudini, non andavano a nascondersi negli
scantinati ma uscivano di casa di corsa per allontanarsi verso
la campagna circostante. Tra prati e coltivazioni si sentivano
più protetti.
Quando la piccola impresa giunse per la costruzione della
solida piccola prigione, Giovanni li ammonì affinché
rispettassero le indicazioni del comandante. Al termine avrebbe
controllato personalmente prima di dare il consenso al
pagamento.
Non essendo difficile immaginare il tipo di persone con il
triste destino di occupare quella cella, Giovanni chiese fosse
segretamente effettuata una modifica sul soffitto della stanza.
«Dovresti costruire una piccola, invisibile apertura» chiese al
muratore. «Come quella sapientemente celata nella parete di casa
tua per nascondere i soldi risparmiati.»
Il muratore arrossì sbigottito. «Come fai a conoscere quella
modifica?»
Giovanni sorrise. «Tutto il paese ne è a conoscenza. Non è un
segreto.»
In effetti l’occupazione principale in quegli ultimi anni,
oltre a cercare di sopravvivere, era confidarsi i segreti
altrui.
«Riuscirai a costruirla celandola in modo che nessuno se ne
possa accorgere?»
Il muratore annuì sorridendo. «Puoi starne certo!» esclamò
risoluto. «Se tu non ne farai menzione, nessuno riuscirà a
scoprirlo.»
Così, all’esterno, nella volta del soffitto, in mezzo ai
mattoni che lo costituivano, approntò una maniglia di ferro in
grado di riuscire a toglierne alcuni così ben legati tra loro da
non riuscire a identificarli con tutti gli altri. Lo stucco
dello stesso colore del cemento li confondeva alla vista.
Non avrebbe mai immaginato fosse lui stesso a dover essere
recluso in quella cella proprio nei giorni della liberazione,
della gioia e dei festeggiamenti per il rinato desiderio del
paese di tornare a vivere.
«La cena è pronta!» sentì pronunciare mentre la porta si
apriva.
Il carabiniere giunse ponendo sul tavolino accanto alla branda
un vassoio con la cena.
«Domani mattina, prima di mezzogiorno, sarai condotto in
municipio per essere giudicato. Un giudice americano deciderà
sulla tua sorte!» sorrise con ironia guardando Giovanni. «Sono
certo, non avrà molto da verificare prima di pronunciare la
sentenza di morte.»
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