«Papà, per quale
ragione hai imbrogliato quel ragazzo?» chiese Shiye mentre
Venanzio, dopo una finta per evitare un difensore, aveva tirato
la palla verso un suo compagno. Il bambino aveva voluto seguire
il padre, nascondendo il proprio spirito nella sua testa.
«È un gioco» rispose Venanzio. «C’è un
accordo tra tutti i giocatori e gli spettatori. Qui si può usare
l’astuzia per fare in modo di vincere.»
«Ma quel ragazzo non è stato per niente
contento di essere stato imbrogliato» continuò Shiye. «L’ho
visto chiaramente dalla sua espressione.»
Venanzio stava correndo indietro per dare
una mano alla difesa. «Fa parte del gioco. Quando succede a me
ho la sua stessa espressione.»
«Non capisco» insistette il bambino. «Tu
mi hai insegnato la necessità di essere sempre sinceri. Perché
ti stai prendendo gioco della gente.»
Venanzio sorrise. «Stiamo divertendoci.
Questa sera ti insegnerò a giocare.»
«Si papà. Vorrei proprio capire.»
Shiye attese con pazienza il termine della
partita quando gli spalti furono equamente divisi tra gente
felice per la vittoria ed altrettanta scontenta.
«Papà se è un gioco per quale motivo
quella gente è così triste? Non sarebbe stato meglio per loro
non venire a questo evento?»
Venanzio faceva parte della gente triste.
Il Milan aveva perso la partita proprio negli ultimi minuti. I
suoi compagni e lui stesso se ne stavano tornando negli
spogliatoi col capo chino.
«Talvolta si vince e talvolta si perde»
sussurrò Venanzio. «Ma se non partecipi non farai mai parte di
questo divertimento. La prossima volta forse toccherà a noi
essere felici e loro essere scontenti. Se fossimo sempre noi ad
essere contenti per aver vinto, non saremmo felici. Troppa
felicità diventa poi monotonia. Bisogna perdere per capire
quanto sia bello vincere.»
Shiye stette a pensare a lungo. «Come è
complicato essere una persona come voi. Sarà difficile
imparare.»
Venanzio sorrise.