Bosco dei Platani
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Avrai il Mio Amore Fino alla Fine del Tempo
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Domenico Corna
Bosco dei Platani - Parte Quarta
Avrai il Mio Amore Fino alla Fine
del Tempo - Dodicesimo Capitolo
Incipit
Michela
non aveva mai creduto a presenze al di fuori delle proprie
sensazioni. Non si era mai lasciata trasportare da sogni
impossibili, ambiva solo a quelli con qualche possibilità di
riuscita. Ma il suo pragmatismo non era privo di fantasia,
l’immaginazione aveva solo una locazione diversa, non poteva
incrociarsi con la realtà e tantomeno sovrapporsi.
Amava
molto ascoltare musica e lasciarsi trasportare sull’onda
dell’immaginazione, ma, quando la musica o il libro si chiudeva,
terminava anche la poesia a loro annessa. “Non bisogna mai far
incrociare la fantasia con la vita reale.” pensava. Perché a
soccombere poi, in questa disputa, è la razionalità e lei non
avrebbe mai permesso accadesse. La sua mente si chiudeva e le
emozioni venivano riposte in un cassetto pronte per la prossima
occasione.
Ma,
inaspettatamente, negli ultimi tempi non riusciva a chiudere
perfettamente quel cassetto e la fantasia la tallonava da
vicino. La ritrovava nel sorriso di un bambino, in una persona
anziana seduta a prendere l’ultimo sole dell’autunno, persino
nel profumo del pane da quel negozio sulla strada per andare in
ufficio. Ogni simile situazione, prima fonte solamente di una
piacevole sensazione, adesso innescava in lei strani pensieri e
la voglia di chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da
quell’onda di fantasia.
Persino
quella volta durante la proiezione di un film dovette scappare
via dalla sala per le strane sensazioni innescate in lei. Era un
vecchio film in bianco e nero in cui il protagonista sembrava
stesse parlando con lei estraniandosi dal contesto. Quando la
telecamera lo inquadrava con quel cappello d’altri tempi,
sembrava volesse chiederle qualcosa. Aveva chiuso gli occhi per
non vedere la sua espressione, ma nel buio della sala e della
sua mente, lui era ancora più presente, sempre con quel cappello
e la mano tesa, la invitava ad alzarsi e ad andare con lui. Così
era scappata via dal cinematografo, non per paura di quello
strano sogno romantico, ma perché non poteva accettare un sogno
al di fuori del contesto in cui doveva starsene.
L’autunno
era iniziato e si era vestito dei suoi colori migliori. La
strada per tornare a casa alla sera non aveva mai rappresentato
un momento di poesia, era solo un nastro d’asfalto coperto di
pozzanghere e di poveri alberi racchiusi in cordoli
sgranocchiati dal tempo. Ma in quei giorni le foglie stese come
un tappeto ai loro piedi riuscivano a farli sentire uniti,
nell’impressione di stare in un folto bosco.
Michela
quella sera, mentre osservava il viale, sentiva muovere dentro
di sé la fantasia. La spingeva a costruire una cornice adeguata
alle immagini. Senza accorgersi venne portata via. Gli alberi
diventarono molto più alti e le foglie ai suoi piedi iniziarono
a formare un immenso morbido tappeto colorato. Chiudendo gli
occhi si immaginò di camminare a piedi nudi in quel bosco, oltre
le cime degli alberi, oltre le cime dei palazzi più alti fino a
vedere le luci della città tanto lontane da confonderle con le
stelle.
Fu il
rumore della sirena di un’ambulanza a farle riaprire gli occhi e
a riportarla per terra. Si guardò attorno, non le era mai
successo di scappare via con la fantasia da confondere fino a
sovrapporre la realtà. Scosse la testa allungando il passo per
scappare via. Giunse a casa di corsa come fosse stata inseguita
da qualche pericoloso maniaco.
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