Michela non
aveva mai creduto a presenze al di fuori delle proprie sensazioni.
Non si era mai lasciata trasportare da sogni impossibili, ambiva
solo a quelli con qualche possibilità di riuscita. Ma il suo
pragmatismo non era privo di fantasia, l’immaginazione aveva solo
una locazione diversa, non poteva incrociarsi con la realtà e
tantomeno sovrapporsi.
Amava molto
ascoltare musica e lasciarsi trasportare sull’onda
dell’immaginazione, ma, quando la musica o il libro si chiudeva,
terminava anche la poesia a loro annessa. “Non bisogna mai far
incrociare la fantasia con la vita reale.” pensava. Perché a
soccombere poi, in questa disputa, è la razionalità e lei non
avrebbe mai permesso accadesse. La sua mente si chiudeva e le
emozioni venivano riposte in un cassetto pronte per la prossima
occasione.
Ma,
inaspettatamente, negli ultimi tempi non riusciva a chiudere
perfettamente quel cassetto e la fantasia la tallonava da vicino. La
ritrovava nel sorriso di un bambino, in una persona anziana seduta a
prendere l’ultimo sole dell’autunno, persino nel profumo del pane da
quel negozio sulla strada per recarsi in ufficio. Ogni situazione
del genere, prima fonte solamente di una piacevole sensazione,
adesso innescava in lei strani pensieri e la voglia di chiudere gli
occhi e lasciarsi trasportare da quell’onda di fantasia.
Persino quella
volta durante la proiezione di un film dovette scappare via dalla
sala per le strane sensazioni innescate in lei. Era un vecchio film
in bianco e nero in cui il protagonista sembrava stesse parlando con
lei estraniandosi dal contesto. Quando la telecamera lo inquadrava
con quel cappello d’altri tempi, sembrava volesse chiederle
qualcosa. Aveva chiuso gli occhi per non incontrare la sua
espressione, ma nel buio della sala e della sua mente, lui era
ancora più presente, sempre con quel cappello e la mano tesa, la
invitava ad alzarsi e a fuggire via con lui. Così era scappata via
dal cinematografo, non per paura di quella inconsueta visione
romantica, ma perché non poteva accettare un sogno al di fuori del
contesto in cui doveva starsene.
L’autunno era
iniziato e si era vestito dei suoi colori migliori. La strada per
tornare a casa alla sera non aveva mai rappresentato un momento di
poesia, era solo un nastro d’asfalto coperto di pozzanghere e di
poveri alberi racchiusi in cordoli sgranocchiati dal tempo. Ma in
quei giorni le foglie stese come un tappeto ai loro piedi riuscivano
a farli sentire uniti, nell’impressione di camminare in un folto
bosco.
Michela quella
sera, mentre osservava il viale, sentiva muovere dentro di sé la
fantasia. La spingeva a costruire una cornice adeguata alle
immagini. Senza accorgersi la condusse via. Gli alberi diventarono
molto più alti e le foglie ai suoi piedi iniziarono a formare un
immenso morbido tappeto colorato. Chiudendo gli occhi si immaginò di
camminare a piedi nudi in quel bosco, oltre le cime degli alberi,
oltre le cime dei palazzi più alti fino a vedere le luci della città
tanto lontane da confonderle con le stelle.
Fu il rumore
della sirena di un’ambulanza a farle riaprire gli occhi e a
riportarla per terra. Si guardò attorno, non le era mai successo di
scappare via con la fantasia da confondere fino a sovrapporre la
realtà. Scosse la testa allungando il passo per scappare via. Giunse
a casa di corsa come se fosse stata inseguita da qualche pericoloso
maniaco.